Il fatto che la malattia da cui è affetto un paziente sia incurabile non è sufficiente a “scriminare” il lungo ritardo del medico nella corretta diagnosi. E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 50975 dell’8 novembre 2017. Secondo i massimi giudici l’allungamento della vita è un bene giuridicamente rilevante e va preso in considerazione nella valutazione della responsabilità,
essendo quindi irrilevante il fatto che la malattia del paziente sia destinata a condurre ad un esito infausto. Di conseguenza, posto che se la morte deriva da un errore diagnostico la sua causa è sempre la patologia, non è possibile evitare gli opportuni accertamenti diagnostici né può essere esclusa la responsabilità del medico che, con il proprio errore diagnostico, lasci il paziente nell’inconsapevolezza di una malattia tumorale, laddove, nel giudizio controfattuale, vi è l’alta probabilità logica che il ricorso ad altri rimedi terapeutici, o all’intervento chirurgico, avrebbe determinato un allungamento della vita”.
La Suprema Corte ha annullato, con rinvio ai soli effetti civili (essendo prescritto il reato), la sentenza con la quale la Corte d’appello di Bari aveva invece assolto dal reato di omicidio colposo un sanitario che aveva diagnosticato come ernia iatale quello che in realtà era un tumore al pancreas, giungendo alla diagnosi corretta solo quando ormai qualsiasi intervento sul paziente era divenuto impossibile, alla luce dello stato di avanzamento della malattia.
I giudici di merito avevano assolto il sanitario perché la patologia pancreatica, viste le conoscenze attuali, era ad “esito infausto inevitabile” e solo questa era stata la causa della morte, mentre l’azione del medico non poteva evitarla. Per la Corte d’Appello, inoltre, “se una diversa diagnosi, più tempestiva, avrebbe potuto ritardare o meno l’esito infausto, resta al di fuori della tipicità penale“. La Cassazione ha invece affermato che tale posizione “è errata in punto di diritto e anche di difficile comprensione“. “Infatti, in campo oncologico, la diagnosi precoce è notoriamente un fattore di assoluto rilievo, o per sottoporre il paziente a terapie salvifiche o comunque, come in caso di tumore al pancreas, per apprestare un intervento chirurgico e delle terapie che, sebbene non si rivelino molto probabilmente salvifiche, possano quanto meno comportare un allungamento significativo della vita residua del paziente.
La vita, infatti, è un bene giuridicamente rilevante, a prescindere dalla sua estensione temporale.
Quindi, nei casi in cui il ritardo nella diagnosi ha inciso solo sulla durata della vita residua del paziente, esiste pur sempre la responsabilità sanitaria e il diritto dei congiunti al risarcimento del danno, parametrato alla diminuita aspettativa di vita conseguente al comportamento colposo.
Link e documenti:
Sentenza Corte di Cassazione n. 50975/2017
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