Sedicimila italiani cardiopatici sarebbero stati richiamati in questi giorni dagli ospedali di tutta Italia per l’avviso diramato dalla St. Jude Medical in relazione al possibile malfunzionamento di alcuni modelli dei pacemaker prodotti dall’azienda statunitense.
I dispositivi vengono impiantati sotto pelle e si attivano per riportare il battito a un ritmo regolare quando il cuore va in fibrillazione. L’operazione è su ampia scala, non solo in Italia, basti pensare che a livello internazionale la segnalazione riguarda ben 400mila apparecchi. Nel nostro Paese nessun paziente ha avuto danni a causa del problema mentre negli Usa ci sarebbero stati due morti.
La Procura di Livorno sta intanto accertando le cause della morte di una anziana all’Isola d’Elba portatrice di defibrillatore,
Il difetto riguarda modelli prodotti fino al 23 maggio 2015 (Fortify, Fortify Assura, Quadra Assura, Unify, Unify Assura e Unify Quadra), nei quali ci sarebbe un problema alla batteria, che si scarica improvvisamente lasciando di fatto il paziente con un pacemaker fermo, quindi senza protezione nel caso di problemi elettrici a cuore. Dopo aver scoperto il difetto, l’azienda ha aggiunto un isolante che riduce le possibilità di un corto circuito elettrico. Jeff Fecho, vicepresidente del controllo qualità di St.Jude, ha ammesso che l’esaurimento prematuro della batteria è la causa della mancata defibrillazione.
L’anomalia non riguarda tutti i dispositivi di ogni singolo modello che sono stati prodotti ma interesserebbe, a detta dello stesso produttore, appena lo 0,21% di questi. Per riuscire ad intercettarli, però, è necessario controllare tutti i pazienti. Il ministero alla Sanità ha inviato nelle scorse settimane una circolare a tutti i centri cardiologici e alle Regioni per informarli del problema segnalato dalla St. Jude, che si è mossa a sua volta per far sapere agli ospedali quanto è successo.
Molti dei pazienti italiani che hanno impiantati i dispositivi a rischio sono già stati convocati. I medici spiegano loro il problema e controllano il livello di carica della batteria, controllando anche chi siano stati attivati i sistemi che avvisano l’avvicinarsi della fine della carica, di solito attraverso una vibrazione che avverte il paziente.
L’azienda produttrice, inoltre, ha organizzato un sistema di telemonitoraggio che scarica i dati dell’apparecchio in remoto ogni 24 ore, sempre per essere certi che funzioni. Ovviamente se si trova uno dei pacemaker che ha la batteria mal funzionate, lo si sostituisce. In questo caso al paziente viene fatta un’anestesia locale, poi si rimuove la ‘scatoletta’ difettosa e se ne mette una nuova. I piccoli cavi che la collegano al cuore invece non si toccano. L’operazione di solito è molto rapida, richiede circa 20 minuti.
L’Ufficio Legale di AECI assiste i soci nell’accertamento del danno derivante da responsabilità medica e nelle azioni per il giusto risarcimento senza nessun anticipo di spese.
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